Recensione al romanzo "L'acquaiola" di Carla Maria Russo, edito da Piemme.
L’acquaiola è un romanzo che ricorda il Verismo
verghiano perché è crudo, a tratti spietato, è il grido di denuncia, il
ritratto realista di un Italia neanche troppo lontana: si parte dalla fine
dell’Ottocento per arrivare agli anni Quaranta del secolo scorso. E di tale
epoca nel libro se ne respira il profumo e si fa i conti con l’amarezza che
sopraggiunge forte quando si toccano con mano le ingiustizie, le difficoltà
della povera gente per campare in modo umano.
Maria è forte, ha dei valori profondi, è dedita ai sacrifici
che sopporta come se glieli avesse mandati Dio per metterla alla prova e
assegnarle un posto in paradiso, quando sarà ora. Maria è religiosa come tutte
le persone dell’epoca, in special modo se abitanti dei piccoli paesi del centro
sud dell’Italia. E se agli occhi di qualcuno appare virtuosa e speciale, Maria
non ci fa quasi caso e tira dritta per la sua strada fatta di sassi. Non ha
tempo da perdere perché deve badare al padre malato e mantenere entrambi
lavorando i campi dei signori.
Non
sa immaginare, Maria. Non può preoccuparsi del futuro
quando deve lottare con ogni singolo giorno che la impegna a garantirsi un
tozzo di pane. A lei importa solo che l’asino, ormai vecchio, resti in buona
salute e che il freddo l’indomani non sia così forte da spaccarle le mani
quando andrà a cercare un qualunque lavoro giornaliero da sbrigare. Eppure
l’affetto lo riceverà proprio da don Luigi, il figlio del signorotto del paese,
di molti anni più giovane e che ricambierà la grande amicizia, la stima, la lealtà
che Maria sente solo per lui. Il destino farà intrecciare le loro vite.
Ciò che colpisce il lettore, oltre l’affascinante
ambientazione, l’accurata ricostruzione degli usi e costumi dell’epoca, è la
psicologia approfondita dei personaggi di cui si segue l’evoluzione durante la
narrazione. E per spiegare meglio la cura dell’autrice nei confronti della
psicologia e della mentalità dell’epoca, riporto un estratto.
“Che
significa progresso, Giuanne?”
“Ma
come? Lo dice la parola stessa, no? Oh, ma siete ignoranti forti, in questo
paese. Progresso è progredire, andare avanti, diventare più ricchi e stare
tutti meglio. E averci tutti l’automobile invece che l’asino. Hai capito?”
“Ma
l’automobile può salire le scale?”
“Non
lo so, ma penso di no. Non è mica un asino.”
“E
allora, quelli che abitano al “Travucco”, come fanno a portare il fieno e la
legna a casa? Qua non c’abbiamo le strade che c’hanno nelle città. Gli scalini,
c’abbiamo.”
“E
poi vedremo. Li spianeremo e faremo le strade anche qui. Il progresso lo vuoi o
no? Diventare ricco ti piace o ti fa schifo?”
“Che
vuol dire, diventare ricchi? Che ci danno un pezzo di terra nostra e smettiamo
di fare i braccianti per i signori?”
“Può
darsi, che ne so? I socialisti, questo vogliono, dare le terre ai poveretti…
non ci credi? C’è scritto qui.”
Il linguaggio dei personaggi è adattato con maestria
al contesto sociale dell’epoca e rafforza, come in fin dei conti fanno anche i
dialetti, i concetti che essi esprimono. E così si avverte lo stupore ingenuo
dei contadini davanti al progresso, l’entusiasmo illegittimo che non fa in
tempo a rafforzarsi perché schiacciato dalla diffidenza, dalla paura del nuovo
per poi essere definitivamente ucciso dalla disillusione procurata dalla
realtà.
“E
quando comandano, i socialisti?”
“Quando
la gente li vota. Ci sono le elezioni, che vuol dire che uno va a votare e dà
il voto a chi vuole. Per esempio, a te ti piace di darlo ai socialisti, così
loro poi comandano e ti regalano un pezzo di terra? E glielo dai a loro.”
“E
dove devo andare, per dare il voto ai socialisti? Ché a me, questa storia della
terra, mi piace assai.”
“Tu
non puoi votare. Nessuno di voi cafoni può votare.”
“E
come sarebbe? Perché no?”
“Perché
può votare solo chi sa leggere e scrivere o chi guadagna più soldi di voi.”
“Ma
se uno guadagna già tanti soldi, perché dovrebbe votare i socialisti? Per
aiutare i cafoni comm’a noi? Che gliene frega, ai ricchi, dei poveretti che non
c’hanno la terra?”
Carla Maria Russo ha esordito nel 2004 con il romanzo
storico La sposa normanna che ha
avuto un grande successo anche come testo di narrativa nelle scuole. È
un’insegnante di italiano e latino nei licei classici. La ricerca storica è
sempre stata la sua grande passione. Nei suoi libri i protagonisti sono donne e
le storie, quasi sempre realmente accadute, sono forti. La virtù della
scrittrice è di saper unire storie ambientate nel passato a tematiche moderne.
Questo è un romanzo che non lascia indifferenti.
Leggendolo, passerete dall’umana compassione, forse a un pizzico di pietismo,
alla rabbia forte causata da eventi drammatici che non racconterò per non
rovinare la sorpresa. Grande penna talentuosa, quella di Carla Maria Russo.
Libro consigliato con il cuore e con l’anima.
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