RECENSIONE DI "LA DONNA DI EINSTEIN" M.BENEDICT, A CURA DI MONICA MARATTA PER IL BLOG "LES FLEURS DU MAL".




La donna di Einstein è un libro eccezionale, poiché possiede non solo il fascino di un romanzo storico che narra le vicende di un personaggio importante, soddisfacendo la curiosità del lettore che, leggendolo, scopre i retroscena intimi della sua vita, mettendo in luce difetti umani insospettabili, ma perché la protagonista è la consorte e madre dei suoi figli, in un contesto di disagiata condizione femminile.
Necessaria, quindi, un’introduzione alla vita sociale delle donne nel 1800, periodo ancora loro poco favorevole in cui si parla e si scrive molto sul gentil sesso, soprattutto da parte degli uomini. Vengono esaltate ma solo se buone madri e “regine” del focolare domestico. I rivoluzionari avevano giustificato la negazione dei diritti alle donne sostenendo che affidare ad esse un ruolo domestico significava garantirne la felicità. Tale comportamento lo si ritroverà durante la Restaurazione, nell’ Inghilterra della regina Vittoria. In Italia, in ambiente borghese e aristocratico, si elevò a modello la donna religiosa e patriottica. Il suo esclusivo ambiente era la famiglia; doveva assoggettarsi a un marito impostole dai genitori e sognare, solo sui libri, un amore romantico. Libertà di lettura non ampia, tra l’altro, in quanto i romanzi erano considerati poco adatti alle ragazze, per le quali si preferivano libri religiosi o educativi.
Tale, breve, introduzione sull’argomento, su cui ci sarebbe stato ancora molto da dire, è necessaria per comprendere il contesto in cui è calato il personaggio femminile del romanzo: Mileva Maric , studiosa di fisica e matematica, di origine Serba.
Si potrebbe pensare a una donna avanti con i tempi, dunque, emancipata ed è ciò che sembra nella prima parte dell’opera, finché, grazie ai ricordi della sua infanzia, il lettore apprende che è una donna menomata da una malformazione all’anca e, una fanciulla in quelle condizioni non la vorrebbe nessuno, non è neanche adatta a diventare madre. Dunque Mileva è, in realtà, discriminata e la libertà di dedicarsi agli studi, concessale  dal padre, è una prigione dorata, seppur amata, in cui lei si rifugia negando un eventuale amore. E ancora la discriminazione nei suoi confronti la farà da padrone nell’università svizzera in cui andrà a studiare e dove conoscerà A.Einstein. Discernita nel suo nuovo ambiente, perché donna che pretende di avere un’intelligenza oltre che penalizzata fisicamente. Inizialmente, quindi il lettore troverà nello scienziato famoso un animo nobile che va oltre tutto questo, innamorandosi di Mileva per le qualità che possiede e non per il suo essere “diversa”.  Insieme costruiscono un mondo solo loro, dove regna incontrastato l’amore per la scienza che diviene l’unico stimolo dell’ unione tra i due giovani. Le fragili fondamenta su cui poggia il sentimento che li unisce, crollano ai primi eventi che costringono i protagonisti a dirottare la concentrazione dal progetto scientifico a quello di vita. Mileva rimane incinta illegittimamente, poiché ancora non sposata e rischia di mandare all’aria i suoi studi oltre che essere preda di malelingue. Proprio da questo momento il lettore scoprirà un Einstein egoista e forse immaturo, incapace di umanità persino nei confronti di una figlia nata e ancora non conosciuta, perché lasciata a vivere in Serbia dai nonni materni. Lui deve sistemarsi, trovare un lavoro rigorosamente appagante  nel suo ambito e solo allora potrà sposare Mileva, prima di volere la figlia con sé. La bimba però si ammala gravemente ed è questo il momento in cui si nota che  la protagonista possiede un’intelligenza matematica e scientifica forse pari a quella del futuro marito, ma è anche dotata di un’umanità e senso del dovere genitoriale che lui, egocentrico e quasi fanciullesco, non ha.

Scarlattina? No,no, no, non la mia Lieserl.
I bambini morivano di continuo per la scarlattina. E, se anche non morivano, pativano atroci tormenti. Cicatrici, sordità, problemi renali, cardiopatie, encefaliti e cecità erano solo alcune delle conseguenze a lungo termine per i sopravvissuti.
Dovevo andare.
Mi asciugai le lacrime, corsi in camera da letto e mi accinsi a fare i bagagli. Stavo tirando giù il baule dalla cima dell’armadio quando sentii sbattere la porta dell’ingresso. Albert era rientrato presto.
Continuai a preparare le mie cose. Non potevo sprecare neanche un secondo, non avevo tempo di correre ad accogliere mio marito sulla soglia come facevo di solito.
“Dollie?” Il tono di Albert era perplesso.
“In camera da letto.”
Gli porsi la lettera continuando a riporre i miei effetti personali.
“Quindi hai intenzione di andare a Kàc?”
Lo fissai, sbalordita dalla domanda. Che altro si aspettava che facessi?
“Certo.”
“Quanto starai via?”
“Finché Lieserl non si riprende.”
“Non può pensarci tua madre? Rischi di stare via un’eternità. Una brava mogliettina non dovrebbe lasciare il marito da solo troppo a lungo. Come farò a cavarmela?”
Lo squadrai. Davvero erano “quelle” le sue domande? Oh, per se stesso si preoccupava eccome ma non una parola sulla scarlattina o su come stesse la bimba! Dov’erano la compassione, la preoccupazione per la figlia?

Dunque, non solo il genio non è un perfetto connubio di mente e cuore ma, oltrepassato il campo ove si misura il suo talento, sono palesi le gravi lacune a livello emotivo. D’altro canto la moglie, equilibrata e umana, arriverà per prima ad elaborare la teoria sulla quale Einstein si accaniva da parecchio tempo.

L’orologio. Il treno. Lieserl.
E in un lampo mi venne in mente. Cosa sarebbe accaduto se il treno avesse lasciato la stazione non a sessanta chilometri all’ora, ma a una velocità prossima a quella della luce?
Cosa sarebbe accaduto nel tempo?
Feci i calcoli a mente, abbozzai una soluzione. Se il treno fosse uscito dalla stazione a una velocità che si avvicinava a quella della luce, le lancette dell’orologio si sarebbero mosse comunque,ma il convoglio sarebbe avanzato tanto in fretta che la luce avrebbe faticato a stargli dietro. Più il treno avesse accelerato, più lente sarebbero diventate le lancette, sino a bloccarsi del tutto una volta che il treno avesse raggiunto la velocità della luce. Il tempo si sarebbe davvero fermato. E se il treno fosse potuto andare più veloce della luce- impossibile, ma lo ipotizzai per puro amore di speculazione- allora il tempo si sarebbe addirittura dipanato all’indietro.
Eccola! La nuova legge era semplice, e naturale. Le leggi universali di Newton si applicavano solo ai corpi inerti. Non ci si doveva più far vincolare dalle vecchie regole. Il tempo era relativo allo spazio. Il tempo non era assoluto.

Lei è più completa di Albert eppure, nonostante tutto, a causa del sesso a cui appartiene, in un’epoca dove era ancora considerato inferiore, sarà costretta a rimanere nell’ombra.
Come se non bastasse, dovrà fare da equilibrista in un matrimonio dove lei sola conosce il sacrificio. Seppure capirà che non è lui, il grande Einstein, l’uomo della sua vita, per amore di un nuovo figlio in arrivo e, in nome della morale dell’epoca, si adopererà per mettere in piedi una famiglia convenzionale.
Intelligente, acculturata ma lo stesso schiava della predominante mentalità maschile.  

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